Storia del Ristorante Grotte di Realdino
Le prime testimonianze dei mulini del Lambro risalgono a documenti antecedenti l’anno mille. Il corso del fiume era popolato da numerosi impianti. La prima documentazione grafica del fiume fu disegnata nel 1615 dall’ingegnere milanese Pietro Antonio Barca e rappresenta la situazione dei mulini sul fiume. Successivamente anche la carta del Brenna del 1840 segnalava ancora la presenza di alcuni mulini da grano. Presumibilmente attorno all’attività del “Mulino Tagliabue”, di cui oggi rimane ormai soltanto la tettoia e alcune pietre (si veda foto), si sviluppò il nucleo di costruzioni di “Rialdino”, favorito anche dall’acqua potabile di buona qualità che fuoriesce da sempre dalle grotte costituite prevalentemente da rocce sedimentarie cui si associano graniti, dioriti e gneis.
“Il complesso di cavità più noto, che fu meta di gite estive sin dal XVII secolo e che con alterne fortune lo è ancora oggi, è quello noto come “Grotte di Realdino”, famose per il fresco che donavano nella calura estiva, per l’acqua che ancora oggi sgorga fresca e – stranamente – pura, per le locande che accoglievano i gitanti e che contribuirono a coniare il detto “a Realdino si visita l’acqua e si beve il vino”. L’acqua che sgorga e percola dalle volte e dalle pareti degli anfratti ha creato suggestive forme di tufo e muschi, stalattiti e stalagmiti che si chiudono a formare conche. Scenari d’umida bellezza sfruttati per far da quinta a tavolini e sedili di pietra e immortalati in numerosissime cartoline”. RONZONI D.F. (a cura di), Carate Brianza alle radici del presente, Missaglia 2006.
La prima testimonianza si rintraccia nelle mappe del primo catasto risalente al 1722 (il nord è verso il basso).
Sul lato verso Carate della roggia Rialdino (diramazione del Lambro), troviamo il Mulino del “Dottore Casanova” definito “sito di casa con molino di sei macine detto di Rialdino”.
Sul lato destro del canale esisteva un fabbricato identificato come “sito di casa con Osteria” che successivamente avrebbe usufruito di parte delle grotte all’aperto.
Questi documenti testimoniano che l’edificio nel 1722 esisteva sebbene non sia stato possibile identificare con certezza il momento dell’edificazione.
Nel foglio II di Costa viene descritta accuratamente la situazione dei luoghi.
Il nome “Grotte di Realdino” evoca ricordi e immagini ovattati di romantica nostalgia avendo in qualche modo intrecciato la sua storia con quella di molti fra noi.
Per qualcuno sono visioni di infanzia, lontane ma dolci, di rare serate di cene fuori con la famiglia. Per qualcun altro sono ricordi dell’epoca del liceo, le prime uscite in compagnia, le prime in due. E il luogo, inutile dirlo, stilla fascino e atmosfera come solo un posto ricco di storia può fare.
Non ci tornavo da anni ma non l’ho mai dimenticato. Vederlo d’autunno tocca il cuore. Le nebbie lontane e rarefatte fra gli alberi risalgono morbidamente la valle. Il borgo sembra vivere secondo ritmi e leggi più antiche, in una dimensione spazio-temporale tutta sua. Sarà il lento fruscio del fiume, il primato della natura e … le grotte che si inseriscono come presenze magiche e vive al centro del borgo avvolte all’esterno da vellutati muschi di un verde brillante, celate da edere spioventi all’ombra di alberi centenari per farsi grigie e frastagliate nella parte coperta, con asperità che sembrano modellate da migliaia di piccole dita, stalagmiti e stalattiti in miniature perfette. E l’acqua filtra, scorre e sgorga eterna come prezioso elemento vitale.